E’ di sole 3 ore fa la notizia che altri due monaci tibetani si sono immolati per protesta contro la repressione della Cina. Si tratta di Dargye, delle contea di Aba (nella provincia del Sichuan, dove sono avvenute la maggior parte delle altre 33 ‘auto immolazioni’ di protesta) e di Tabgye Tseten. Tseten e’ morto mentre Dargye si e’ salvato ed e’ in grado di parlare nonostante le ustioni.
I due giovani hanno compiuto il loro drammatico gesto davanti al Jokang, il tempio piu’ importante di Lhasa. I due, hanno riferito testimoni, urlavano ”qualcosa” mentre erano avvolti dalle fiamme ma i testimoni non hanno capito le loro parole.
Lhasa, la capitale del Tibet è ”in ebollizione” da mesi, fin dalla mia visita ad ottobre scorso. Ovunque sono presenti militari armati fino al collo, che non aspettano altro di origliare una parola fuori posto sussurrata dalle guide che accompagnano i pochi avventurosi turisti.
Il Palazzo del Potala, residenza principale anche dell’attuale Dalai Lama fino a che non è stato costretto alla fuga in India, è visitabile per solo un’ora cronometrata: se non esci entro il tempo stabilito dalle autorità cinesi, che così cercano di limitare il passaggio di informazioni, la tua guida perde il permesso di ingresso e tu puoi passare seri guai, visto che possono persino ritirarti il passaporto.
I permessi per i viaggi turistici in Tibet sono sospesi dall’inizio di maggio. Si sta ricreando la triste situazione già vissuta durante le Olimpiadi di Pechino, dopo la protesta che prese il via nel magnifico monastero di Ganden, che io e Cristian abbiamo avuto la fortuna di visitare. Allora alcuni monaci del posto si rifiutarono di adorare una divinità contro il Dalai Lama. Furono barbaramente uccisi ma il loro gesto diede il via ad una serie di proteste che presto divamparono anche a Lhasa, mettendo in serio imbarazzo il gioverno cinese, allora sotto gli occhi del mondo.
Mai, giuro, scorderò il mio incontro con un giovane monaco di Tsurphu, casa del XVII Karmapa, anche lui costretto a scappare in India. Tra le lacrime mi raccontò la fuga della sua guida dal Tibet e mi supplicò di andare in India a conoscerlo, io che potevo viaggiare liberamente. Le sue parole risuonano ancora nelle mie orecchie, nei miei occhi, oggi più che mai, ho ancora il suo triste sorriso.
Che cosa possiamo fare noi per il Tibet?
Penso che l’organizzazione di conferenze o eventi culturali nelle nostre città possa contribuire alla diffusione della conoscenza del problema tibetano.
Occorre inoltre coinvolgere i mass-media locali e nazionali e proporre loro servizi, interviste, reportage su argomenti tibetani.
Io, per quanto mi è possibile, inizio da oggi stesso, per onorare Dargye e Tseten.
Oṃ Maṇi Padme Hūṃ
Contatta l’Associazione Italia-Tibet per l’organizzazione di un evento nella tua città: potranno fornirti alcune utili indicazioni su come procedere, provvedere al materiale informativo da distribuire e inviarti, ove possibile, un incaricato per allestire un piccolo stand, un relatore o un rappresentante dell’Associazione.
Grazie per questo Post Ari.
Certe notizie non dovrebbero mai passare sotto banco…
Sono d’accordo, cara amica, la’annoso problema del Tibet è ancora oggi sconosciuto ai più!