Un armadio imponente, scuro, che sapeva di vecchio, con due grosse ante cigolanti è la porta per il viaggio nei miei luoghi del cuore, nelle mie radici.
Io, figlia di gente cresciuta in campagna ma che la campagna l’ha dimenticata in fretta, lasciandola da giovane per la città e le sue promesse. Io, nipote di contadini che quella campagna l’hanno amata e rispettata per tutta la vita. I miei luoghi del cuore, la mia terra, le mie radici.
Da piccola aspettavo con trepidazione il momento in cui potevo passare un po’ di tempo con nonna Maria, nel vecchio cascinale ad Agliano Terme, sperso tra i bricchi nella campagna del Monferrato. Era un luogo selvaggio, pieno di profumi inconsueti, destinati a rimanere nelle mie narici sino ad ora.
Nei giorni precedenti il mio arrivo pregustavo il momento in cui, salite le ripide scale che portavano alle stanze da letto, riaprendo l’armadio, avrei potuto indossare gli abiti della libertà. Quelli che mamma in città non mi faceva più mettere, perché troppo rovinati o vecchi ma che in quella dimensione di semplicità e di rilassatezza ritrovavano la loro dignità. E poi via, finalmente libera da qualsiasi impedimento, libera soprattutto dai vestiti da brava bambina, a correre a perdifiato nel cortile, inseguendo insetti a volte quasi più grandi dei miei piedini scalzi, raccogliendo, quand’era stagione, mele dal frutteto e uva dai filari.
Chissà perché tutto in quei luoghi del cuore acquisiva per me un nuovo interesse: la frutta era immancabilmente più buona, i colori più vivi, i fiori più profumati, persino i pisciacane, così li chiamava papà, che a primavera ricoprivano di giallo i campi circostanti la cascina.
Provo ancora oggi un senso di pace profonda nel ripensare a quei momenti. Mai più come in quei giorni passati da nonna mi sono sentita così al sicuro. Ero circondata da gente felice di vedermi, di potermi coccolare un po’. Non avrei potuto volere di più!
Sento ancora nelle narici il profumo del ragù che la nonna cucinava la domenica mattina, prima di andare a messa.
Ricordo ancora il gusto dei suoi agnolotti, che con l’avanzare dell’età e la progressiva perdita della vista, riservavano immancabilmente qualche piccola sorpresa all’interno del ripieno.
Sento ancora nelle orecchie l’eco della sua voce, dolce e morbida, che solo una volta si era fatta aspra e acuta, quando avevo accidentalmente rotto due uova delle sue amatissime galline. Solo allora, per un pomeriggio, si era spezzato l’incantesimo che sovrastava quei luoghi e mi ero sentita sola e spaventata.
Aspettavo con trepidazione l’imbrunire, perché spesso facevano la carne alla griglia nel cortile della cascina e cucinavamo le patate al cartoccio. Mai più un mangiare così semplice mi è sembrato così buono.
Ricordo le tante vigilie di Natale passata nella piccola cucina, dove nel sottoscala buio e sporco si lavavano i piatti. Ricordo nonna che, sempre seduta accanto a me, non riusciva a smettere di ridere quando nelle carte da gioco si ritrovava il diavolo, la carta da non tenere mai. Ricordo la proverbiale fortuna di zia Maria che riusciva sempre a vincere oltre che nelle carte anche a tombola. Ricordo che tutti mi guardavano pazienti, e anche un po’ rassegnati, quando salita sulla sedia mi mettevo a cantare a squarciagola le canzoni dei cartoni animati.
Nonna Maria non c’è più, ma non passa giorno che non la citi nei miei discorsi o che non ritorni con dolcezza nei miei pensieri e nei miei sogni. Anche nonno Serafino e zio Ernesto non ci sono più. Riposano tutti insieme nei miei luoghi del cuore, legati per sempre a quella terra che tanto hanno amato.
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